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Che cos'è la gig economy?

 

Con la crisi del lavoro e grazie alle opportunità offerte da siti e applicazioni sono nate delle figure lavorative nuove, si tratta di impieghi on demand.
In un mondo messo alla prova dalla crisi economica il settore dell’impiego e i contratti di lavoro ne hanno fatto le spese. In un contesto del genere si è sviluppata la gig economy. Si tratta di un particolare sistema che riesce a fare a meno dei classici contratti a tempo indeterminato o alle prestazioni continuative. 
On demand significa che si lavora solo quando c’è la necessità delle nostre competenze e delle nostre abilità.

Alcuni corrieri o i driver di Uber, sono chiari esempi di figure professionali all’interno della gig economy. Se vogliamo renderla ancora più semplice, è il trionfo dei “lavoretti”. Fino a poco tempo fa una situazione lavorativa del genere non sarebbe stata considerata una buona opzione economica, e invece vista la crisi del lavoro al momento molte persone stanno sfruttando le opportunità occupazionali, anche se molto saltuarie, offerte da siti, applicazioni e piattaforme web. 

Tutela dei lavoratori
Il vero problema della gig economy sono le tutele nei confronti dei lavoratori. Non essendoci dei veri e propri contratti difficilmente le persone ricevono lo status di dipendenti con le conseguenti agevolazioni, pensionistiche e sanitarie, del caso. Se la gig economy dovesse crescere ancora, e gli analisti del mercato sono molto propensi a quest’eventualità, sarà fondamentale per le persone chiedere e ottenere dai governi nazionali delle nuove regolamentazioni. Nuove leggi che permettano una maggiore tutela a chi lavora on demandIn Italia è stato fatto il primo passo riconoscendo e facilitando il telelavoro, ma sarà necessario fare ancora molti passi in avanti. 

Etimologia della gig economy
Gig economy è un termine abbastanza recente, che come già spiegato, nasce grazie alla creazione di applicazioni e siti che offrono dei piccoli lavoretti on demand. Proprio per questo motivo alle volte è anche chiamata economia delle piattaforme. Nasce all’interno dello stesso contesto dell’economia collaborativa e della sharing economy. Ovvero quelle possibilità di guadagno create dalle potenzialità della Rete.
Pensiamo per esempio a chi ottiene degli extra grazie all’affitto di una casa su Airbnb. 

Il futuro della gig economy
Secondo molti analisti di mercato il futuro della gig economy dipenderà dalla capacità dei politici di adeguare le leggi a queste nuove forme di lavoro. In maniera tale da tutelare sia i dipendenti che le aziende. Il politico britannico Matthew Taylor ha proposto una soluzione per questo problema. Si tratta della creazione di una specifica categoria di lavoratori, una sorta di freelance che va a posizionarsi tra le aziende e i lavoratori con contratto fisso. Nonostante questa posizione lavorativa abbastanza incerta, la nuova categoria dovrà rientrare nei benefici che hanno le persone con regolare contratto. Come la malattia, gli extra pagati, e in alcuni casi i giorni festivi retribuiti.
Nel 2015 è entrato nell’uso nei media dopo essere stato utilizzato durante la propria campagna elettorale da Hillary Clinton, che l’aveva definita anche come “economia a richiesta” e aveva posto il problema della tutela dei lavoratori. 
In tutti i Paesi industrializzati, dove questo fenomeno è sempre più diffuso, è nato il problema di come regolamentarlo
In Italia l’indagine sul mercato del lavoro dell’Istat del 2017 conferma la crescita continua e molto rapida di quello che viene definito “lavoro accessorio”: le persone coinvolte erano meno di 100.000 prima del 2010, diventate 215.000 nel 2011 e arrivate a quasi un milione e 800.000 nel 2016. L’Istat nota che nell’arco di cinque anni, dal 2012 al 2016, il numero di datori di lavoro che richiedono questo lavoro accessorio si è moltiplicato per quattro e quello dei rapporti di lavoro per cinque. Il valore registrato dalle statistiche ufficiali è stato di un miliardo di euro. Il lavoro accessorio considerato dall’Istat è però solo quello retribuito attraverso il sistema dei voucher, aboliti e poi reintrodotti nel corso del 2017 per evitare il referendum proposto dalla Cgil.
In Gran Bretagna la stima dei lavoratori saltuari fatta da un rapporto pubblicato nel luglio del 2017 è simile: un milione e 600.000 persone. La stessa prima ministra Theresa May aveva parlato all’inizio del proprio mandato della necessità di porre fine allo “sfruttamento di massa dei lavoratori della gig economy”. Negli Stati Uniti sono stimati 4 milioni di persone che lavorano attraverso applicazioni online che potrebbero diventare 7,7 milioni per il 2020, ma la percentuale di lavoratori saltuari è considerata molto più alta, anche oltre il 30% del totale dei lavoratori. 

Curiosità
Il termine viene dalla musica Jazz, dove era usato fin dall’inizio del 900 per indicare l’ingaggio per una serata, forse come contrazione della parola “engagement”. Dal Jazz l’uso si è allargato a tutto il mondo della musica, sempre con lo stesso significato, per poi passare a indicare ogni ingaggio saltuario. 


Fonti:
http://www.lastampa.it/2018/02/24/societa/che-cos-la-gig-economy-RQxHfrirzhbJnmXA988KmJ/pagina.html
https://tecnologia.libero.it/che-cose-la-gig-economy-14757

26 luglio 2018

PONTE CON LE AZIENDE, PERCORSO PROFESSIONALE