Skip to main content

SMARTWORKING: flessibilità che guarda al futuro

Il lavoro agile è un approccio sempre più adottato con soddisfazione da aziende e lavoratori. Sul tema ci siamo confrontati con una delle più importanti esperte a livello italiano: Arianna Visentini, presidente di Variazioni srl.

A prova di produttività, soddisfazione personale e anche preconcetti. A spuntarla su questa triade tutt’altro che soft ci pensa lo smart working. Di lavoro agile - questa la traduzione più azzeccata - se n’è parlato molto negli ultimi anni. Soltanto però nelle recenti settimane, a seguito delle misure di contenimento del Coronavirus, è diventato un termine quasi familiare oltre che un approccio fortemente necessario. Definita come “nuova filosofia manageriale” - da non confondere con il telelavoro - lo smart working si basa su capisaldi come flessibilità, autonomia e responsabilità.

Secondo i dati pubblicati lo scorso autunno dall’Osservatorio Smart Working, gli smart worker in Italia sarebbero circa 570 mila. Altro dato importante: mediamente rivelano un grado di soddisfazione nel proprio lavoro molto più elevato di chi opera con modalità tradizionale. Tutto questo strizzando l’occhio alla tutela dell’ambiente. Basta, infatti, calcolare il peso determinato, a livello di inquinamento dell’aria, dagli spostamenti in automobile per raggiungere quotidianamente il luogo di lavoro.

Per fare il punto della situazione ci siamo confrontati con Arianna Visentini, esperta di welfare aziendale nonché presidente di Variazioni srl, una delle più importanti realtà italiane, made in Mantova, che si occupano del tema.

Parliamo dei vantaggi più importanti che derivano dallo smart working.
"La particolarità dello smart working è che i vantaggi si distribuiscono tra più soggetti. Le persone possono lavorare nel luogo e nell’orario che preferiscono e questo determina risparmi in denaro, in chilometri, in tempo di viaggio. Andare al lavoro ci costa mediamente 25 euro al giorno tra baby-sitter, dopo-scuola, pasti pronti, carburante, lavanderia. Ne guadagnano anche il nostro benessere e il nostro livello di soddisfazione. L’azienda, dal canto suo, riduce i costi derivanti dall’assenteismo per malattia, che si abbassa, così come vede un incremento della produttività delle persone in lavoro agile. Gli spazi vengono gestiti in modo più razionale e le persone tendono a lavorare un po’ di più in smart working. Dalle nostre ricerche emerge che dei 90 minuti di viaggio risparmiati, il 25% viene reinvestito in lavoro. Infine l’ambiente trae beneficio dalla riduzione degli spostamenti. Non percorrere 60 chilometri al giorno per 4 giorni al mese è come piantare 270 alberi all’anno."

A partire dalla tua esperienza, quali sono le maggiori resistenze ancora rilevate da parte delle aziende italiane nei confronti dello smart working?
"Lo smart working rappresenta la sensazione di perdere il controllo sui collaboratori. Si pensa che le persone siano meno produttive se non sono fisicamente presenti. In realtà non abbiamo ad oggi strumenti affidabili per dire che lo sono e quanto in ufficio. Si pensa che lo smart working sia una risposta a esigenze di welfare e invece è una grande occasione per migliorare il nostro modo di lavorare, che non ha preferenze di genere. Il lavoro agile fa bene a tutti, donne e uomini.”

Quali sono invece i luoghi comuni e in qualche modo i timori da parte dei lavoratori e delle lavoratrici nell’aderire allo smart working?
“Si crede che vengano penalizzate le relazioni, dimenticando che l’ufficio, popolato da anni dagli stessi colleghi, non è sempre il luogo nel quale vorremmo stare per così tanto tempo. Si trascura anche il fatto che in smart working si lavora mediamente tra i 4-8 giorni al mese, un tempo che restituisce senso ai luoghi in cui lavoriamo e qualità alle relazioni. Le persone hanno anche il timore di essere escluse dalle decisioni aziendali o che i capi possano non fidarsi di loro o anche di dover dimostrare di poter raggiungere risultati. Non siamo abituati, infatti, a lavorare per progetti e obiettivi e ad essere valutati per i risultati del nostro lavoro.”

A che punto siamo in Italia sul fronte lavoro agile?
“L’emergenza Coronavirus sta inducendo tante aziende a fare scelte forzate di adozione del lavoro agile. Da un lato è un bene il rendersi conto di quanto sia importante poter lavorare in remoto. Dall’altro è fondamentale accompagnare il cambiamento con consapevolezza e gradualità. I nostri manager non sono sempre pronti a coordinare e motivare i loro collaboratori. Le aziende non hanno le tecnologie adeguate, le persone devono essere supportate a cambiare il loro modo di lavorare. L’auspicio è che si possa tornare quanto prima a ragionare sul vero smart working, quello che nasce da una volontà congiunta e non da una necessità impellente.”

                                                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                                                      Sara Bellingeri

 

ATTIVITÀ EXTRA CATEGORIA, PERCORSO PROFESSIONALE